SUCCO AROMATICO, BUCCIA RICCA DI OLI ESSENZIALI, SAPORE GRADEVOLMENTE ACIDULO. GRAZIE ALLE SUE PECULIARITÀ, IL LIMONE DELL’ETNA HA FINALMENTE OTTENUTO IL VIA LIBERA ALL’ISCRIZIONE NEL REGISTRO DELLE ECCELLENZE IGP. ECCO LA CARTA D’IDENTITÀ DI UNO DEGLI AGRUMI PIÙ PREZIOSI DELLA PENISOLA.
Non è da tutti crescere ai piedi di un vulcano con 500.000 anni di storia, sotto il sole battente, alla mercé dei venti di Levante e Scirocco. Ma il limone dell’Etna c’è riuscito: oggi questo agrume dal profumo inconfondibile – piccolo grande fiore all’occhiello della costa orientale siciliana- è a un passo dalla certificazione IGP (già ottenuta dal limone di Siracusa, cui abbiamo dedicato questo approfondimento).
L’Unione Europea, infatti, ha appena approvato la sua iscrizione nel Registro delle Indicazioni Geografiche Protette, attribuendo al frutto caratteristiche uniche “per via dello sviluppo e della maturazione in un ambiente climatico molto specifico, costituito da suoli di origine vulcanica, associati a un clima temperato dal mare, e per la particolare tecnica di coltivazione, che consente la produzione estiva e che ancora oggi caratterizza la zona costiera di Acireale”. Così si è espressa la Commissione Europea, in una nota che evidenzia l’importanza storica e le peculiarità del prodotto. Scopriamo cosa lo rende così speciale.
Il limone dell’Etna: storia e legame con il territorio
Sembra che la coltivazione del limone etneo si sia diffusa alla fine del ‘700 per motivi sanitari, più che alimentari: questo frutto, infatti, risultava molto utile per prevenire lo scorbuto, una malattia causata dalla carenza di vitamina C. Del resto, non è un caso se la zona di produzione include l’intera provincia di Catania, città portuale in cui transitavano spesso i marinai, particolarmente colpiti dal virus a causa dei lunghi viaggi in barca. A metà del secolo successivo, comunque, le colture si espansero su incoraggiamento di Paolo Calì Fiorini, presidente del Comizio Agrario di Acireale, che nel 1869 spinse gli imprenditori del luogo a sfruttarne le condizioni climatiche favorevoli, impiantando lungo la costa prosperosi agrumeti; da quel momento in poi molti di loro spietrarono le pendici orientali del vulcano per ampliare la superficie dei terreni, fino a raggiungere un’altezza di 400 metri sul mare. In parallelo, la popolazione locale iniziò a definire quest’area come “regione etnea dei limoni”: l’espressione è attestata sin dalla fine dell’800, quando scrittori come Federico di Roberto – autore de I Viceré – raccontavano nelle loro opere i lavori di bonifica compiuti per far spazio ai limoneti. Oggi l’agrume originario dell’Etna ha conquistato tutta la fascia ionica del catanese, da Acireale a Castiglione di Sicilia, passando per comuni come Fiumefreddo e Zafferana Etnea.
Produzione del limone dell’Etna Igp
Davvero interessanti le modalità di coltivazione dei limoni etnei, che seguono un protocollo messo a punto oltre 300 anni fa. In questo caso l’uomo ha deciso di “forzare” la natura (con esiti apprezzati all’unanimità, va detto), inducendo le piante a germogliare durante il periodo estivo.
Ma come è possibile alterare così tanto i ritmi di fioritura? Gli agricoltori dell’area litoranea acese utilizzano la tecnica della “secca”, che consiste nel sottoporre gli alberi a uno stress da mancata irrigazione durante i mesi caldi di giugno e luglio. In seguito ai terreni viene somministrata una quantità d’acqua sempre maggiore che, insieme ai concimi azotati, riattiva il metabolismo delle piante fino ad innescare la seconda fioritura, con una massiccia produzione di limoni da maggio a settembre dell’anno successivo. Una pratica consolidata che – è proprio il caso di dirlo – dà i suoi frutti, permettendo alle aziende di raccogliere sin da subito i tipici limoni Verdelli. Questi ultimi hanno attirato l’attenzione di numerosi ricercatori universitari, che hanno scoperto nel loro succo una quantità di sostanze antiossidanti decisamente più elevata rispetto alla media dei limoni comuni (qui avevamo raccontato l’iniziativa dei consorzi siciliani per promuovere il consumo dei limoni verdi).
Oltre alla coltivazione, anche la raccolta segue un iter ben preciso: secondo le indicazioni del disciplinare approvato dall’UE dev’essere effettuata manualmente la mattina, quando sulla superficie degli agrumi è evaporata tutta la rugiada notturna. Per essere certi che la confezione rispetti i requisiti del marchio, basta acquistarne una con il bollino IGP, composto da un limone verde e un limone giallo contornati da linee scure, a simulare la forma triangolare del vulcano.
Caratteristiche e proprietà dei limoni etnei
Sono due le cultivar di limoni che crescono sulle basse pendici dell’Etna: Monachello e Femminello. In entrambi i casi possiamo fare una distinzione fra limoni invernali ed estivi, che presentano una buccia tendente al verde chiaro (come la varietà estiva Verdello) e limoni primaverili, che si distinguono per la superficie interamente gialla.
Tutti, comunque, hanno un odore particolarmente intenso, dovuto alla grande quantità di ghiandole oleifere che rilasciano nell’aria la parte volatile degli oli essenziali. Negli ultimi anni, come dicevamo, vari studi hanno messo in luce le proprietà benefiche di questi agrumi rispetto ai loro “fratelli”, individuando nel succo livelli superiori di acido citrico e di antiossidanti naturali con effetti positivi sull’organismo; è questo il motivo per cui la polpa spremuta dei limoni etnei ha un gusto più acidulo e deciso. Inoltre, dato che le coltivazioni sono dislocate su terreni ricchissimi di sostanze minerali (e vicinissimi al Mar Jonio), i frutti rappresentano un’ottima fonte di zinco e iodio. Ma la limonicoltura è anche un valido antidoto contro le frane e le calamità gelogiche, perché contribuisce a stabilizzare la conformazione naturale del paesaggio. Un bene prezioso per gli abitanti della zona, ormai molto legati a questa tradizione secolare.
I limoni dell’Etna in cucina
La buccia odorosa del limone etneo viene spesso impiegata in pasticceria per aromatizzare i dolci tipici siciliani. Qualche esempio? Il gelo di limone, un dessert che prevede l’utilizzo del succo e della scorza, oppure il biancomangiare, un budino a base di latte, vaniglia e scorzette di agrumi. Sul fronte drink, invece, uno dei digestivi più comuni nella regione è il rosolio preparato con il limone Verdello. In questo caso, dopo la macerazione della scorza profumata in soluzione alcolica per almeno 15 giorni, il liquido viene miscelato con uno sciroppo di zucchero e fatto riposare in un luogo buio e asciutto; trascorsi 20 giorni, si filtra il rosolio e lo si imbottiglia per favorire la concentrazione di sapori e aromi nel liquore. Ma i limoni dell’Etna trovano impiego anche nella realizzazione di sorbetti e granite (a proposito: queste ultime sono nate per iniziativa dei nevieri, che un tempo raccoglievano il ghiaccio proprio sulle pendici del vulcano), e la loro scorza è perfetta per aggiungere una nota di freschezza ai primi piatti di pesce come la pasta con le sarde. Tutti validi motivi per portarli in tavola!