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Il vino in Sicilia fra ricerca e resilienza per affrontare i cambiamenti climatici e le sfide del mercato

 Il profondo legame fra la Sicilia e la viticoltura ha il pregio di poter contare su un patrimonio ampelografico ampio e di grande versatilità. Un quadro che i cambiamenti climatici, le nuove scelte dei consumatori – soprattutto della generazione Z – e l’incerta congiuntura economica costringono a “ridisegnare” per sviluppare in pieno tutte le potenzialità che la Regione ha in canna sul piano delle produzioni vinicole. Cambiare approccio di sistema comporta però un “allenamento” a nuovi modelli gestionali, con competenze partendo dalle tecniche gestionali, oltre che economiche e previsionali.

Per questa ragione sono nati tre diversi progetti di ricerca, finanziati con i fondi europei dalla Regione Siciliana per la costituzione e la gestione dei gruppi operativi del PEI (partenariato europeo per l’innovazione) in materia di produttività e sostenibilità dell’agricoltura. Gran parte della ricerca è dedicata alle varietà identitarie e autoctone dell’isola. Vitigni storici come Nero d’Avola, Grillo, Perricone, Catarratto e altri forse meno conosciuti, ma di grande interesse, in prospettiva, per il futuro dei mercati. 

Le varietà reliquia sono ‘gioielli’ selezionati dalla natura – spiega Dario Cartabellotta, Dirigente generale dell’Assessorato regionale all’Agricoltura -, quindi sono i migliori per resistere al cambiamento climatico e quelli adatti su cui puntare per la futura enologia dell’IsolaOggi i nostri produttori sono riusciti a farne dei vini eccezionali, coniugando la conservazione della biodiversità e i nuovi trend di consumoSe si torna a parlare di vitigni internazionali come il Cabernet il Merlot, lo Chardonnay, e di vitigni autoctoni come il Nero d’Avola, il Grillo, il Nerello Mascalese, fino a citare varietà rare come quella del Vitrarolo, significa che la Sicilia è una regione che crede nella sua biodiversità e continua a investire nell’innovazione per dare vita a vini unici e riconoscibili”.

Oggi si studiano cloni e biotipi, portainnesti, lieviti, ma anche i suoli e le interazioni tra vitigno, habitat e andamento del clima. Ascoltando i player in campo, dal Consorzio di tutela della DOC Sicilia ai raggruppamenti di imprese, sino a grandi centrali cooperative vitivinicole, i progetti di intervento sono convergenti e attraversano gran parte della Sicilia, escluso l’Etna che fa storia a sé. Regione, Consorzi, imprese, sembra che tutti remino nella stessa direzione (fatto non scontato) con obiettivi concreti e finalmente convertibili in azioni utili a migliorare le performance del vino siciliano.  Dal piccolo vignaiolo all’impresa vivaistica e, con loro, le aziende che coltivano e vinificano le proprie uve, sino alla grande azienda internazionalizzata. Tutti i soggetti sono chiamati alla prova, scommettendo sulle potenzialità del territorio. Investire nella ricerca e nell’innovazione diventa dunque essenziale, soprattutto in una fase di forti cambiamenti a livello globale, basti pensare alla decarbonizzazione e alla mitigazione degli effetti dovuti al riscaldamento del pianeta. 

Io credo che la Sicilia possa riscoprire nel prossimo futuro i propri vitigni autoctoni, soprattutto quelli che sono stati abbandonati in passato – sostiene Antonio Rallo, presidente del Consorzio Doc Sicilia -. Ce ne sono più di 70 e il consorzio in una collaborazione molto costruttiva con altre istituzioni, come il vivaio Paulsen della Regione Siciliana, l’Università degli Studi di Palermo e l’Università di Milano, sta scommettendo su una serie di progetti per valorizzare queste produzioniAttualmente abbiamo delle rese basse, dobbiamo assolutamente implementarle e per poterlo fare dobbiamo anche lavorare sulla crescita qualitativa”. 

La prima partita si gioca sulla resilienza ai cambiamenti climatici ed è il problema più pressante. Le aziende chiedono vantaggi competitivi sostanziali e duraturi, omologare e produrre in vivaio nuovi cloni delle varietà autoctone che rispondano alle esigenze produttive, ambientali ed enologiche delle diverse zone della Sicilia. Il Gruppo Operativo Bi.Vi.Si. (Biodiversità Vitivinicola Siciliana), finanziato dalla Regione e guidato dal Consorzio DOC Sicilia interviene su più fronti: vivaismo e portainnesti, gestione agronomica dei biotipi selezionati e processi di vinificazione e vede coinvolti, oltre il Dipartimento SAAF dell’Università di Palermo e il DiSAA dell’Università di Milano, cinque imprese enologiche e un’impresa vivaistica che, capofila il Consorzio di Tutela Vini DOC SICILIA, sino a giugno 2025, lavoreranno insieme per la ricerca e l’innovazione. 

Nel vigneto come in cantina, oggetto di studio saranno soprattutto i biotipi del Catarratto (A, B), il Frappato (A, B), il Grillo (A, B), il Lucignola, il Nero d’Avola (A, B, B1, B2), il Nocera, il Perricone (A, B), il Vitrarolo. “Grazie a Bi.Vi.Si. – dichiara Maurizio GilyInnovation broker del progetto– attuiamo una virtuosa sinergia fra pubblico e privato sul piano del valore della biodiversità. Valutiamo l’adattabilità a diversi ambienti e a situazioni di stress dei vitigni autoctoni e, fra questi, le cosiddette varietà reliquie, come il Vitrarolo, un tempo abbandonato e adesso al centro di un progetto di recupero grazie al suo potenziale viticolo-enologico nelle attuali condizioni climatiche”.